Sergio Pedemonte* - Claudio G. Vaselli
Considerazioni geologiche
e spelogenetiche su
Pozzo del Negrin 10PiAL e Tana del Tesoro 12PiAL
Prima pubblicazione su "Labirinti"
n. 10 GGN CAI Novara 1990
Rielaborazione illustrazioni e cartine
-
*Centro Culturale Isola
del Cantone
LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA
Le cavità in esame si trovano a pochi chilometri verso nord
da Roccaforte Ligure, in provincia di Alessandria.
E' possibile arrivare in auto a Roccaforte giungendo da Vignole
Borbera (casello autostradale Milano-Genova)
attraverso la suggestiva valle del Borbera, passando per Cantalupo
e Rocchetta Ligure, oppure da Isola del Cantone
(casello autostradale omonimo sulla Milano-Genova) passando per
Montessoro.
Fig. 1 Quadro geografico.
ACCESSO ALLE CAVITA'
Dalla parrocchia di Roccaforte (q.IGM 782)
imboccare la carrareccia comunale per Avi, antico centro rurale
ora abbandonato; giunti alla cresta (q.IGM 801/802) nei pressi del
Monte la Croce, lasciare la carrareccia sinora percorribile in auto
e proseguire a piedi, imboccando il sentiero di sinistra in leggera
discesa nel primo tratto. Ai successivi bivi mantenere la sinistra,
inoltrandosi nel bosco fortemente in discesa. A quota IGM 698, imboccare
il poco evidente sentiero che riconduce ad Avi sino ad intersecare
il rio ancora temporaneo, localmente chiamato Rio del Piano.
Il Pozzo del Negrin è situato nel letto di tale rio, circa
50 m a monte, a quota 700 s.l.m.
La Tana del Tesoro si raggiunge prendendo
a destra della cresta quota IGM 801/802 descritta in precedenza,
raggiungendo il Poggio a quota IGM 853 e proseguendo sul crostone
La Ripa dopo Monte Cravasana sino alla quota 861 per poi ridiscendere
sul versante est, praticamente verso Rocchetta Ligure.
STORIA DELLE ESPLORAZIONI
L'esistenza dei pozzi è da sempre nota agli abitanti della
zona che considerano quei luoghi pericolosi per la loro impervietà
e per la conformazione stessa dei pozzi. Nel 1978 Marco Serratto,
animatore e profondo conoscitore della cultura locale, organizzò,
attraverso il Gruppo Issel di Genova, una prima discesa. In quella
occasione Mauro Valerio Pastorino, Sandro Tamagno e Alessandro Patri
giunsero a circa -70 m . In altre occasioni localizzarono anche
la Tana del Tesoro, in cui però non discesero.
Claudio Vaselli, Paolo Gianoglio e Giorgio bertero con altri membri
del Gruppo Grotte Acqui, proseguirono le ricerche nel 1985 con il
raggiungimento di quota -107 nel Pozzo del Negrin e -17,5 nella
Tana del Tesoro, stendendo i relativi rilievi topografici.
GEOLOGIA DELLA ZONA
Le cavità sono situate nella formazione oligocenica dei "Conglomerati
di Savignone” costituiti da banche mal definiti di ciottoli
eterogenei di calcari, calcari marnosi, ofioliti: localmente sul
Monte Osesa, vicino a Roccaforte, si osservano cumuli di spilliti
brecciate. All’interno degli stessi conglomerati compaiono
lenti di marne arenacee con microfauna.
Fig. 2 - Quadro geologico
O3:
Formazione di Monastero (Oligocene sup.)
PC: Calcari di Monte Antola (Paleocene - Turoniano)
EC: Argilliti del Pagliaro (Paleocene
Om - Ocg - B: Conglomerati di savignone. Loc. Spiliti B, Calcari
Dolomie.
Om: Lenti marnoso-arenacee ( Oligocene)
Adiacente ai conglomerati vi
è la Formazione di Monastero che presenta un' alternanza
di argille marnose e arenarie in strati sottili passanti a conglomerati.
Sottostante ai conglomerati compaiono i termini più antichi
e precisamente le argille del Pagliaro a strati calcareo marnosi
e arenacei con banchi argillosi di colore nerastro. Queste a loro
volta si sovrappongono ai calcari di Monte Antola, alternanze ritmiche
di strati calcarei e calcareo marnosi, con argilliti in minor quantità.
Vi si trovano frequentemente Fucoides, Inoceramus e Elmintoidi,
fossili del Cretaceo superiore.
Fig. 3 - Quadro stratigrafico
semplificato
B: Calcari di Monte Antola
C: Argilliti del Pagliaro
D: conglomerati di Savignone
E: intercalazioni arenaceo-marnose
Mentre i conglomerati hanno una permeabilità
in grande, dovuta a fratture, le sottostanti argilliti sono impermeabili.
Si localizzano così numerose sorgenti al contatto tra le
due formazioni affioranti ad Avi, dove la popolazione aveva ricavato
negli stessi delle cisterne impermeabili per l'acqua piovana.
Non è stato possibile studiare il reticolo di fratture attraverso
la fotointerpretazione, mentre la vegetazione fitta sui lati poco
ripidi ne impedisce un dettagliato rilievo di campagna.
Le nostre ossrevazioni sulla genesi delle due cavità sono
nate osservando uno schizzo di Ernest Wahlstrom (Wahlstrom, 1973).
Fig. 4 (da Wahlstrom, 1973.
Modificato)
Per Wahlstrom, nel caso di fratture inclinate
di 30 gradi sotto un massiccio roccioso, si instaurano al centro
dello stesso delle fratture di tensione. Sempre dello stesso autore
è un ulteriore schema:
Fig. 5
Iniziamo cosi a considerare l'ipotesi che
l'interazione tra due materiali con caratteristiche meccaniche cosi
disuguali come i conglomerati e le argilliti, sovrapposti l'uno
alle altre con notevoli inclinazioni, potessero dare luogo a stati
di tensione tali da provocare delle fratture nel materiale più
rigido.
A questo occorre aggiungere che durante il
lungo tempo di emersione, sia i conglomerati che le argilliti -
ammesso che non abbiano subito spostamenti laterali tettonici -
sono stati erosi, passando quindi da uno stato di equilibrio ad
un altro, secondo uno schema del tipo:
Fig. 6
Se paragoniamo il conglomerato ad una trave inflessa sottoposta
per migliaia di anni al solo suo peso e semplicemente appoggiata
sulle argilliti, le eventuali fratture si aprono secondo le giaciture
corrispondenti alla tensione massima (Benvenuto, 1981, pag. 459).
Il conglomerato, essendo materiale rigido, resiste poco alla trazione
e potrebbero verificarsi i fenomeni descritti nelle precedenti figure,
con relative aperture durante una fase di sollevamento.
Ricordiamo che i conglomerati di Savignone sono disposti a placche
da Monte Maggio (sud) sino al Monte Gavasa (nord) divisi dalle valli
torrentizie.
Un'ulteriore conferma alle nostre ipotesi
si trova in Cecere & Lembo Fazio (1986), in cui mediante il
calcolatore si identificano gli sforzi in una placca lapidea con
un substrato deformabile. A tutte queste considerazioni bisogna
aggiungere che in pendii ripidi normalmente il passaggio da una
distribuzione dello stress in tre dimensione ad una bidimensionale,
causa fessure e fratture in direzione parallela alla valle.
Questo fenomeno ben difficilmente supera i 50 metri di profondità
(Jaeger, 1979).
Fig. 7
Confortati da queste considerazioni che esulano
sia dalla tettonica in senso stretto, che dalla composizione chimica
della roccia e quindi dalla sua solubilità o propensione
al carsismo, decidemmo di rivedere le situazioni geomorfologiche
e litologiche dei conglomerati di Savignone in base a quanto a sopra
riportato. Si evidenziarono quindi le seguenti situazioni:
1- nelle zone conglomeratiche al di sopra
dei flysch dell'Antola, a componente in prevalenza calcareo-marnosa
(nel complesso abbastanza rigido), non si rilevano grandi fratture
o comunque grotte (placche di Montecanne e Montereale);
2- nelle zone conglomeratiche al di sopra
di argilliti (del Pagliaro, varicolori o comunque di Montoggio)
si hanno cavità più o meno profonde e più o
meno orientate come nei casi del Negrin e del Tesoro (placche di
Roccaforte e Montessoro);
3- in zone conglomeratiche in cui non è
possibile una sicura identificazione dei termini sottostanti, ma
con probabile presenza di argilliti, si trovano la Tana do Lou al
Reopasso e la cavità nel Rio delle Ciappe sotto il Reopasso
lato W.
4- zone conglomeratiche estremamente dubbie:
le fratture dal Monte Cravì sembrano essere l'effetto di
una causa del tipo in figura 5.
Occorre inoltre verificare se episodi del
tipo "deformazione gravitativa profonda di versante" non
abbiano influito su quei fenomeni, in particolare nella speleogeni
della Tana del Tesoro: un esempio potrebbe essere la grotta di Pian
dei Tre tra Crocefieschi e Vobbia e la Tanassa di Monte Maggio,
attualmente franata in buona parte.
A queste prime superficiali considerazioni occorre aggiungere una
nuova messe di dati di campagna che si articolerà nei seguenti
momenti:
1- verificare che tali tipologie si ritrovino
in altre zone rigide sovrastanti zone plastiche;
2- definire maggiormente i due modelli in
base alla loro potenza ed estensione, nonché al drenaggio
e all'erosione;
3- rivedere cavità sconosciute paracarsiche
o pseudocarsiche e confrontarle con le situazioni riportate;
4- anche per le tipiche cavità carsiche,
l'origine della circolazione idrica ipogea può essere avvenuta
attraverso fratture che ben poco avevano di tettonico, ma da far
risalire a questo tipo di isostasia.
E' ovvio che maggiore è la differenza tra i moduli di elasticità
degli ammassi rocciosi a contatto, maggiore sarà l'interazione
tra l'uno e l'altro, con la possibilità di concentrazione
di sforzi in parti peculiari (magari piccole fessure preesistenti
o discontinuità dell'ammasso stesso come foliazioni, diversi
gradi di cementazione, lenti o vene di materiale diverso.
Una volta che nelle singole cavità si determina un ciclo
ipogeo (come sembra nel caso del Pozzo del Negrin) interviene l'acqua
stessa a modificare la struttura della cavità.
Pertanto occorrerà rilevare e posizionare
le cavità anche minori nel conglomerato rispetto al reticolo
di frattura ottenuto da fotointerpretazione, isolando le fratture
"da pendio" del tipo in figura 5 da quelle sicuramente
originatesi al centro dei massicci conglomeratici poi smantellati
dall'erosione. Occorrerà inoltre qualificare la rigidità
delle varie formazioni se non in assoluto, almeno tra loro.
Ovviamente agli effetti da noi ipotizzati
di "isostasia" geomeccanica strettamente locale e correlabile
con tempi geologici relativamente brevi, bisogna sovrapporre, ove
esista, l'effetto di una tettonica regionale e di una neotettonica.
Per quest'ultima, nelle zone prese in considerazione, si riscontra,
secondo Boni & altri (1980), che tra Roccaforte ed il Borbera
nelle strette di Pertuso negli intervalli IIb, deposizione delle
"Argille di Lugagnano s.l.", sino all'intervallo V, deposizione
all'alluvioni post glaciali, continui innalzamenti "con le
messe più rigide che mostrano deformazioni a più grande
raggi e la formazione di probabili faglie locali dirette a NE NW.
Indizio neotettonico può essere anche la deviazione del Borbera
verso Pertuso in direzione W dovuta molto probabilmente ad una faglia
e che ne fa in pratica una continuazione del torrente Besante.
BIBLIOGRAFIA
Atti del Il Seminario del Gruppo Informale
del CNR 'Deformazioni gravitative profonde di versante", Bergamo
5 settembre 1984. Bollettino Società Geologica Italiana,
voi. CVI (1987), fasc. 2.
Boni A. - Boni P. - Peloso G.F. - Gervasoni
5., "Dati sulla neo-tettonica del foglio Pavia (59) e di parte
dei fogli di Voghera (71) e di Alessandria (70)", 1980.
Benvenuto E., "La scienza delle costruzioni",
Manuali Sansoni, 1981.
Carta Geologica d'Italia, scala 1:100.000,
foglio n.71 Voghera.
Cecere V. - Lembo Fazio A., "Condizioni
di sollecitazione indotte dalla presenza di una placca lapidea su
un substrato deformabile", Associazione Geotecnica Italiana,
XVI Convegno Nazionale di Geotecnica, Bologna, 1986.
Jaeger C., "Rock mechanics and engineering",
Cambridge University Press, 1979.
Wahistrom E., "Tunneiing in rock",
Elsevier Scientific Publishing Company, 1973.
Meriana G. - Pedemonte 5., "Un centro
abbandonato della media Valle Scrivia: Avi", Indice per i beni
culturali territorio ligure, n.24, anno V, 1980.
Pastorino MV. - Pedemonte 5., "Nota
preliminare sui fenomeni speleogenetici nei conglomerati di Valle
Scrivia e Vai Vobbia in provincia di Genova", Memoria Rassegna
Spei. It. voi.II, Como, 1974.
Pastorino M.V. - Pedemonte 5., "Una
sorpresa nei conglomerati", Notiziario Speleologico Ligure,
anno XIII numero unico, 1980.
Pedemonte 5., "Nuovi elementi per la
definizione dei complessi post-orogeni del Bacino Terziario piemontese
tra Borlasca (Isola del Cantone) e Rocchetta Ligure", Tesi
di Laurea, Università di Genova, Istituto di Geologia, 1979.
Cella G.D.- Vaselli C.G. , "Attuali
conoscenze sui fenomeno carsico nella provincia di Alessandria"
in Atti XV Congr.Naz. Spel., pp 95-107, Castellana 1987.
Vaselli C G.- Cella G.D., "Carsismo
nei conglomerati della Valle Borbera", Labirinti 8, pag.44-58,
Novara, 1988.